Le mafie sono ormai riconosciute come fenomeni organizzativi, ma fino a qualche anno fa si ricorreva alla dimensione culturale per spiegarne la genesi e la diffusione. Definire l’organizzazione mafiosa non è comunque semplice. Non esiste, del resto, un modello organizzativo univoco, ma si è in presenza di una forte differenziazione dal punto di vista storico e territoriale. 

Nelle mafie è possibile individuare una dimensione intraorganizzativa e una dimensione interorganizzativa. La prima ha a che fare con i ruoli, le gerarchie e le modalità di funzionamento, volte a stabilire i requisiti di accesso, regolare l’operato degli affiliati, garantire la tenuta interna, rendere efficace il conseguimento degli obiettivi. La seconda attiene alle relazioni tra le diverse cosche e famiglie, ed è finalizzata a incentivare forme di cooperazione e riconoscimento tra gli appartenenti a differenti gruppi, prevenendo possibili rischi di disgregazione e conflitto.

Va poi tenuto presente che non tutto il campo d’azione mafiosa si esaurisce nell’organizzazione. Ci sono infatti attività portate avanti singolarmente da alcuni affiliati. Per quanto omogeneo, un gruppo di mafia non è quindi un monolite ma mostra una certa elasticità, prevedendo spazi di autonomia e indipendenza per i suoi componenti. Del resto, nelle organizzazioni mafiose coesistono ricchezza e povertà, si registrano diseguaglianze economiche tra gli affiliati e non c’è sempre piena corrispondenza tra ruolo formalmente occupato nell’organizzazione ed effettivo status socio-economico.

Ciò suggerisce di sfatare alcuni miti. Uno di questi riguarda le cosiddette famiglie mafiose, che non per forza sono famiglie di sangue. Un altro riguarda il ruolo delle donne. Sebbene patriarcali e maschiliste, le organizzazioni mafiose vedono un ruolo attivo delle donne, sia per la socializzazione dei più giovani alle pratiche criminali sia per la frequente assunzione di ruoli direttivi e apicali. Inoltre, i legami cementati dalla comune appartenenza familiare possono configurarsi come un’arma a doppio taglio per le mafie, dal momento che le più accese faide si sono originate proprio da contrasti tra membri delle stesse famiglie.

Le mafie nel dibattito pubblico vengono spesso considerate una forma di antistato. Tuttavia, esse non puntano a sostituirsi allo Stato. Non sono quindi configurabili come una forza rivoluzionaria che mira a sovvertire lo status quo. Anche quando in passato vi è stato uno scontro frontale tra organizzazioni mafiose e Stato, questo è stato portato avanti con la logica di “fare la guerra per poi fare la pace”. Le mafie sono infatti organizzazioni che mirano a creare rapporti collusivi con l’apparato statale per cercare di piegarlo ai propri interessi.

Approfondimenti

Per capire meglio il funzionamento interno delle mafie (regole interne, livelli inter-organizzativi, intra-organizzativi, conflitti, ecc.) può essere utile leggere F. Armao, Il sistema mafia, Bollati Boringhieri Torino 2000; A. Becchi, Criminalità organizzata, Donzelli, Roma 2000; A. Dino, Mutazioni. Etnografia del mondo di Cosa Nostra, La Zisa, Palermo 2002; R. Sciarrone, Mafia e potere. Processi di legittimazione e costruzione del consenso, in «Stato e mercato», 3, 2006; L. Brancaccio, I clan di camorra, Donzelli, Roma 2017; M. Catino, Le organizzazioni mafiose, Il Mulino, Bologna 2020.

Sul ruolo delle donne nelle mafie si rimanda al numero monografico di Meridiana, Donne di mafia, 67, 2010. Cfr. anche R. Siebert, Le donne, la mafia, il Saggiatore, Milano 1994; O. Ingrascì, Donne d’onore, Bruno Mondadori, Milano 2007.

Fascia oraria dell'evento (1)

Venerdi 29/03/2024 –
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Redazione Redazione

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